"Non è la mente l'origine dell'uomo, sono le passioni che originano tutto, anche il pensiero. E' il sentimento il seme dell'uomo, sono l'amore, la passione." (M. Tobino)
E' "vero" tutto ciò che ci piace e che decidiamo insieme agli altri che sia vero

mercoledì 17 aprile 2013

Non basta un approccio postmoderno …


di
Francesco Zanotti


Vogliamo dedicare qualche post per rispondere ad alcune riflessioni che qualche lettore ci ha inviato sul libro che sto scrivendo.
Il primo post è dedicato alle riflessioni di “Ale Donadio” che nascono da una visione del mondo specifica: la visione postmoderna.
Semplificando (anche troppo) si tratta di quella visione che si oppone all'oggettivismo (realismo) della visione classica del mondo. E propone il valore della soggettività. In particolare, evidenzia il fenomeno dell’ermeneutica. Ancora una volta in parole povere: le visioni che le persone si formano del mondo sono frutto di una interpretazione personale che impedisce di fare affermazioni di verità assolute. Uno dei punti più estremi di questa visione del mondo è la decostruzione, ricostruzione del mondo di Derrida.
In campo manageriale Ale la usa per descrivere l’impresa come sistema adattivo complesso e per fare proposte “liquide”: il surfing manageriale.
Ora la prima cosa da dire è che negli ultimi anni si è affacciata una controffensiva del realismo: guarda che esiste un mondo fuori di noi che è conoscibile oggettivamente.
Quindi siamo, filosoficamente, come sempre nel campo delle sette pertiche: due visioni che si contrappongono e si combattono.
Quale scegliere? La mia risposta nasce da una esigenza: le imprese devono aumentare e velocemente la loro capacità di produrre cassa: altrimenti chiudono e la querelle se il management deve affidarsi ad una visione classico realistica del mondo o ad una visione postmoderna si interrompe subito perché ogni contendente è costretto a starsene a casa sua.
Ora, la domanda che mi pongo è: per aumentare la capacità di produrre cassa intensamente e subito che contributo dà la proposta di governo del surfing? Riesco ad andare da una banca e dimostrargli che, se i suoi manager surfeggiano, riescono a valutare meglio le imprese, costruiscono nuovi sistemi di rating, riescono a dare un contributo progettuale alle piccole e medie imprese, riescono a mettere ordine nel guazzabuglio dei processi di ristrutturazione delle grandi imprese, troppo spesso mascherati attraverso emissioni obbligazionarie? Oppure ancora: riesco ad andare da una compagnia di assicurazione e dirgli che surfeggiando riesce a guidare questo paese a definire un modello di stato sociale che finalmente metta un punto fermo, condiviso e non autoritario, alla diatriba tra pubblico e privato? Oppure, ancora, riesco ad andare da una Utility e la convinco che, sempre se i suoi manager surfeggiano, riescono ad uscire da un’altra diatriba tra pubblico e privato, magari disegnandosi un ruolo di hub di sviluppo di una ecologia di piccole imprese che rivoluzionano il mercato della produzione e della distribuzione dell’energia?
Riconosco che l’ermeneutica è un fenomeno reale, che il surfeggiare è molto elegante e dolce, ma, per poterlo proporre come soluzione per governare la costruzione dello sviluppo prossimo venturo completa, è necessario che chi la propone riesca a colmare il gap con la strategia e con i flussi di cassa: altrimenti il top management delle imprese non mi/lo/ci sta a sentire. Oppure compra qualche corsetto di formazione dove magari ci divertiamo e ci pagano pure, ma certo non diamo un contributo intenso e immediato, come è necessario, alla costruzione di un nuovo sistema economico e di una nuova società.

Con questo voglio buttare a mare il pensiero postmoderno e sposare un pensiero realista? No! Voglio dire che è necessario aggiungere una nuova visione del mondo: quella quantistica. Usare in forma sinergica queste tre visioni e costruire una proposta di governo che le contenga tutte e tre.
Cosa sia la visione quantistica del mondo, come possa ispirare una nuova forma di governo che non butta nulla del pensiero postmoderno, ma lo considera solo necessario e non sufficiente, che si fa carico dei flussi di cassa e di far vedere come davvero si riescono a guidare banche, assicurazioni, utilities e tutti gli altri attori economici a gestire le issue vitali che le coinvolgono, rimando al testo complessivo del libro.

Ale troverà forse sorprendenti alcune conclusioni che cito solo perché nel libro ne parlo o ne parlerò nella seconda versione che è quasi pronta. Le conclusioni sono le seguenti.

Se, in questo momento storico, l’organizzazion  viene considerato come sistema adattivo, allora i flussi di cassa ce li scordiamo: rischia che sia costretta a surfeggiare sulle dune di un deserto (economico e sociale), invece che sulle onde di un oceano aperto.

Se la comunicazione è come la intendono Shannon e, in fondo, anche la pragmatica della comunicazione, allora quella non è la comunicazione che avviene all'interno e all'esterno di una organizzazione. Suggerisco di leggere Luhmann per approfondimenti.

La cultura organizzativa non so cosa sia. E, anche quando lo sapessi, non potrei osservarla.
La partecipazione è da prendere con le molle: prima di attivare partecipazione occorre prepararla agendo sui sistemi cognitivi delle persone. La nostra  “Sorgente Aperta” costituisce una proposta in tal senso.

Conclusione, metà postmoderna e metà quantistica. Il pensiero postmoderno ha contribuito alla fine della dittatura del pensiero unico, delle ideologie. Ma poi ci ha lasciato senza forza. Credo che sia il momento non di ricostruire nuove ideologie, ma di scrivere grandi storie collettive per poi realizzarle. Non saranno certo le uniche possibili, ma devono esistere perché non possiamo accettare di subire il futuro.
  

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