"Non è la mente l'origine dell'uomo, sono le passioni che originano tutto, anche il pensiero. E' il sentimento il seme dell'uomo, sono l'amore, la passione." (M. Tobino)
E' "vero" tutto ciò che ci piace e che decidiamo insieme agli altri che sia vero

giovedì 7 ottobre 2010

Harvard Business Review: commenti al punto di vista dell'accademia

In uno degli ultimi numeri di Harvard Business review Italia, vi era uno speciale intitolato “Strategie per un mondo che cambia”. Tre articoli di manager di società di consulenza e professori di business school internazionali che partono dal presupposto abbastanza condiviso, con sfumature diverse, che l’organizzazione è qualcosa che si può plasmare a piacimento dei CEO: basta solo indovinare la ricetta giusta e metterla in pratica. Abbiamo qualcosa da dire su questo punto di vista, una nostra opinione che può essere foriera di una prospettiva radicalmente diversa e, per questo, suggerire soluzioni nuove ai problemi di sempre.


Nel primo, L’organizzazione guidata dalle decisioni http://hbritalia.it/article/455/ , si affronta il tema dei cambiamenti organizzativi e di come questi possano essere più efficaci se al posto degli organigrammi ci si focalizza sulle decisioni. Gli autori suggeriscono un metodo in sei passi per attuare questo copernicano modo di intendere l’organizzazione decision-driven .
L’obiettivo come sempre è quello della performance organizzativa, e dunque aziendale, che può essere di vario tipo secondo le strategie dell’azienda: migliorare la marginalità o il market-share, favorire l’innovazione, di prodotto o di processo,  tagliare i costi, ecc.
Si dà per scontata la plasmabilità dell’organizzazione, fatta notoriamente di persone, dalle quali ci si aspetta la totale disponibilità a qualsiasi disegno il management voglia realizzare. Anche i clamorosi e numerosi fallimenti, che pure sono riportati nell’articolo, vengono imputati alle modalità di implementazione del cambiamento, in termini di tempi e modi. Le decisioni personali che i singoli mettono in pratica quotidianamente, consci o meno di quello che fanno, (frustrazioni, giochi di potere, spazi di libertà da difendere) la cui caotica somma porta al risultato visibile ex-post a tutti, ovvero che il cambiamento non ha funzionato, non sono minimamente prese in considerazione.   
Per gli autori l’organizzazione è fatta di parti di macchine da attivare e organizzare, come se si trattasse di scrivere un software per un calcolatore (se non funziona al massimo dà errore e le “colpe” non sono mica della macchina ma di chi ha scritto il programma) e non di persone con le loro identità che si esprimono anche sul posto di lavoro. L’unico accenno viene fatto all’inizio paragonando il successo dell’azienda a quello di un esercito che dipende, almeno in egual misura, dalla qualità delle decisioni che i suoi ufficiali e soldati prendono e mettono in pratica sul campo, oltre che dalla effettiva forza in combattimento. Peccato che, ancora più critiche di queste variabili , vi sia la motivazione dei singoli, senza la quale né corrette decisioni né forza effettiva riescono a produrre risultati attesi (e chi combatte in Iraq e Afghanistan da dieci anni contro un nemico debole o scompaginato, o lo ha fatto in Vietnam contro pochi e male armati contendenti lo sa benissimo).


Nel secondo, Cambiare per Cambiare http://hbritalia.it/article/456/ , si affronta il tema del cambiamento per se stesso, ovvero di come sia necessario periodicamente per rallineare l’organizazzione al mercato che cambia, scoraggiare il radicarsi di abitudini che col tempo si rivelano pericolose, abbattere sistemi di interesse consolidati tra gruppi.  Le persone in quanto tale sono riconosciute solo a livello strumentale, quando vengono citate le reti informali per compensare i limiti della struttura formale nel caso di rottura di comunicazioni tra unità dopo una riorganizzazione.

Anche se vi è un passaggio che sembra far luce finalmente su questa dimensione (Le dinamiche umane all’interno di una organizzazione sono in costante trasformazione e richiedono che l’organizzazione stessa stia al passo con esse), il taglio della proposta è sempre rivolto prioritariamente alla parte formale che è prioritaria su tutto, facendo apparire retorica l’affermazione sulle dinamiche umane. Anche qui, come nel primo articolo, il mercato, entità esistente e misteriosamente costituita, è da servire, concezione tipica di consulenti e manager, in contrapposizione all’idea che ne ha l’imprenditore che il mercato lo crea lui!


Il terzo articolo mi ha fatto venire in mente una storiella divertente. Una delegazione di un importante cliente visita l’impianto di un suo fornitore e, dopo i rituali benvenuti della proprietà e del top management che magnificano le sorti magnifiche e progressive della loro azienda, lasciano il gruppetto di ospiti alle cure di un capofabbrica per una visita agli impianti produttivi. Dopo un po’ di tempo a girare per i vari reparti, un manager del cliente, colpito dalla dimensione degli impianti, chiede al suo anfitrione: “Quante persone lavorano qui?”

Il capofabbrica: “circa la metà!”

Il paradosso della produttività http://hbritalia.it/article/457/, è un bell’esempio concreto della storiella. L’autore scopre, finalmente, che le aziende con scarso livello di impegno da parte del personale impiegato mostrano un calo dell’utile operativo e del tasso annuale di crescita degli utili.

Beh, bella scoperta visto che l’azienda è fatta di persone!

Si snocciolano poi altre “perle” di brillante intuizione quali gli esseri umani non lavorano come computer oppure le persone danno il meglio quando alternano momenti di grande concentrazione ad altri in cui si ricaricano, e altro. Continuando a leggere si capisce che si tratta di uno “spot” pubblicitario di una società di consulenza, la quale però ha avuto un merito, e merito lo hanno anche i redattori della rivista che hanno deciso di pubblicarlo: gettare un fascio di luce su quella dimensione “informale” totalmente ignorata, o manipolata, nei discorsi sul cambiamento e l’organizzazione.
Appare però evidente che al momento passiamo da totale ignoranza ad affascinanti suggestioni, ben lontani da metodi e linguaggi professionali per il governo dell’ Organizzazione Informale, vera essenza non solo dell'organizzazione ma dell'azienda stessa.

Abbiamo una nostra proposta a riguardo, come sa chi ci segue da tempo. Non è questo lo spazio per parlarne ma va accennato che il punto di partenza è radicalmente nuovo: un "cultura" diversa da quella della "macchina", che invece sembra permeare i lavori dell'accademia come i tre articoli dimostrano.

Nessun commento:

Posta un commento