"Non è la mente l'origine dell'uomo, sono le passioni che originano tutto, anche il pensiero. E' il sentimento il seme dell'uomo, sono l'amore, la passione." (M. Tobino)
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mercoledì 1 dicembre 2010

Per favore, facciamo un passo avanti

Alessandro Cravera si occupa da sempre dei temi legati all'organizzazione vista come "sistema complesso". Nel suo blog http://complessita.wordpress.com/ ha recentemente postato un commento, giustamente scandalizzato, sull'articolo di copertina di Harvard Business Review Italia.
Vediamo perchè. 
La copertina del numero di novembre di Harvard Business Review riproduce una foto di un gruppo di soldati in tenuta da combattimento accompagnata dal titolo:Leadership Lessons from the Military. Il numero contiene un focus costituito da 4 articoli che evidenziano il contributo che i militari possono dare allo sviluppo della leadership dei CEO.
L’abbinata militari-leadership non è certamente nuova ma a quanto pare non accenna a smontarsi. Un’indagine condotta nel 2005 da Korn Ferry sottolinea, infatti, che dei 500 CEO delle principali aziende che rientrano nella classifica S&P, 45 hanno avuto un’esperienza militare pregressa da ufficiale. Si tratta di una proporzione tripla (9% del totale) rispetto alla normale proporzione di militari tra la popolazione maschile adulta degli Stati Uniti (3%).


In uno degli articoli, gli autori (Boris Groysberg e Andrew Hill della Harvard Business School) dichiarano che in base alle loro ricerche “i CEO che provengono dalla Marina e dall’Aereonautica adottano un approccio al management che si basa sul processo, e si aspettano che il personale segua delle procedure  standard senza alcuno scostamento” (sigh!). “Ciò consente loro di eccellere nei settori altamente regolamentati e piuttosto curiosamente nei settori innovativi”. I CEO che provengono dall’Esercito e dai marines usano invece la flessibilità e responsabilizzano i collaboratori nell’attuazione della loro visione (sottolineo il “loro”).
Per avvalorare le loro conclusioni i due studiosi di Harvard citano le parole di un veterano che ha combattuto in Iraq: “metti male un bullone nell’esercito e rischi di trovarti con un camion fuori uso. Metti male un bullone nella Marina o nell’Aeronautica e rischi di perdere una macchina da cento milioni di dollari.”
E’ sconfortante notare il livello della discussione sulla leadership in una rivista importante e universalmente nota come Harvard Business Review. Le ricerche di frontiera si focalizzano sulle dinamiche emergenti tipiche dei sistemi complessi, sul ripensamento delle modalità di leadership più adatte a governare tali dinamiche e la più nota rivista di management al mondo, dedica la copertina alle lezioni che i militari possono dare ai manager d’azienda, citando esempi che hanno a che fare con “bulloni”, macchine da 100 milioni di dollari” e “comportamenti standardizzati”.
Michael Useem, docente alla Wharton School, in uno degli articoli pubblicati sull’ultimo numero di HBR, cita con orgoglio il fatto che nei suoi corsi MBA insegna i principi della leadership militare tramite il contatto diretto con esponenti dell’Esercito degli Stati Uniti, dei Marines e del Dipartimento della Difesa. Gli studenti partecipano a un’esercitazione presso la Officer Candidates School del Corpo dei Marines a Quantico. L’articolo prosegue con l’epica descrizione del programma di “Leadership Reaction and Combat”: “messi a dura prova dalla severità degli istruttori e dalla notte agitata che hanno trascorso negli alloggiamenti dei marines, gli studenti si dividono in 5 squadre d’assalto (…). L’istruttore spiega che hanno a disposizione dieci minuti per risolvere un problema apparentemente senza soluzione: spostare un pesantissimo contenitore d’acciaio da una parte all’altra di una barriera verticale alta 3 metri senza mettere piede nelle macchie di vernice rossa sparse qua e là che rappresentano degli ordigni esplosivi. Una delle squadre definisce una strategia e poi agisce, riuscendo abilmente a spostare il contenitore secondo il piano. Ma le scene di giubilo finiscono presto quando l’istruttore rimprovera il team per averci messo così tanto a recepire e applicare i suggerimenti avanzati dai membri della squadra su come superare la barriera (…). Gli studenti imparano la lezione, hanno riflettuto troppo a lungo, e con una leadership insufficiente prima di agire.”
Può darsi che, occupandomi di complessità e management,  io sia professionalmente deviato, tuttavia trovo questa descrizione e le conclusioni a cui giunge,  fuorvianti, anacronistiche e futili.  Chiedetevi: questa esercitazione militare avrebbe potuto essere organizzata nei programmi di addestramento degli anni ’50? Certamente sì. Ora chiedetevi: il mondo e, in particolare, il mondo del business, sono simili a quelli degli anni ’50? Oggi siamo di fronte ad un livello di interconnessione del pianeta senza precedenti. L’impresa è un sistema complesso che opera all’interno di un sistema complesso. Più che di eroismo, orientamento all’azione, disciplina militare, occorre saper generare contesti favorevoli all’auto-organizzazione, valorizzare l’intelligenza collettiva e creare ridondanze cognitive e relazionali.
Programmi di addestramento come quelli citati non fanno che creare leader fortemente competitivi, interessati più all’azione che alla comprensione, poco inclini all’ascolto e al confronto che, una volta in azienda, abitueranno i loro collaboratori a sintetizzare qualunque argomento e situazione in 3 minuti, forti del fatto che “loro non hanno tempo da perdere”, “occorre essere più rapidi dei concorrenti”e “si devono cogliere tutte le opportunità”.  Potranno fare tutto ciò perché si ritengono dotati di capacità superiori alla norma, sono abitati a superare le prove più ardue e ad essere seguiti da nugoli di disciplinati followers.
Con questa visione della leadership mi sembra di aver fatto un salto indietro di 70 anni, ai primi studi che si focalizzavano sui tratti distintivi del leader. Se Harvard Business Review ritiene interessante pubblicare articoli come quelli citati vuol dire che il mainstream del management è ancora fortemente ancorato ad una visione del mondo che, di fatto, non esiste più.
Sinceramente pensavo fossimo più avanti.
Alessandro Cravera

1 commento:

  1. La formazione degli ufficiali americani è molto particolare. Se da un lato si insite su un'idea di leadership aggressiva nel comando delle truppe, in cui l'azione prevale sulla riflessione - il contrario di ciò che diceva SunZi - dall'altro esiste una componente del corpo ufficiali che riceve una formazione accademica piuttosto estesa, e che sarà indirizzata alle funzioni di Stato Maggiore. Come civile che forma da diversi anni gli ufficiali dell'Aeronautica, debbo dire che condivido le riflessioni di Cravera: la leadership militare è una cosa, quella aziendale un'altra. Io mi trovo invece investito da una retorica opposta, secondo la quale l'ufficiale è un manager e come tale deve gestire con competeza, efficienza e profitto le risorse - umane, finanziarie, organizzative e logistiche - che gli sono affidate. Poiché insegno strategia, trovo questa impostazione fuorviante. La condizione in cui un ufficiale si troverà, e si trova, in Afghanistan, a gestire le risorse assegnategli, non ha alcun rapporto con la gestione di un'azienda. Se coordina un'attività di pattugliamento e le sue pattuglie non scovano il nemico, dovrà sospenderla perché improduttiva? La logica militare di quell'operazione non è rapportabile ad una logica economica. L'efficienza nella gestione del parco mezzi - che trae beneficio dagli studi e dalle tecnologie di gestione provenienti dal mondo civile - è finalizzata a garantire la disponibilità di quei mezzi per attività che non possono essere misurate sui parametri di efficienza e produttività di un'azienda. Se dunque formare i manager ad una gestione militare del personale non ha senso, perché li prepara alla gestione di un elemento fondamentale - la paura di morire - caratteristica di un tipo di competizione specifico - la guerra - che non incontreranno mai sul mercato, allo stesso modo formare gli ufficiali a gestire un'efficiente e ordinata amministrazione che valorizzi le risorse umane non li prepara al loro compito: come si gestisce un aeroporto militare in cui devono atterrare trasporti pieni di truppe mentre la pista è sotto l'attacco dei mortai, le pattuglie del perimetro sono sul punto di essere sopraffatte da forti contingenti nemici e il centro comando è stato incendiato da una granata? A ciascuno il suo.

    Daniele Zotti
    dz@deceptionzone.com

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