"Non è la mente l'origine dell'uomo, sono le passioni che originano tutto, anche il pensiero. E' il sentimento il seme dell'uomo, sono l'amore, la passione." (M. Tobino)
E' "vero" tutto ciò che ci piace e che decidiamo insieme agli altri che sia vero

martedì 31 gennaio 2012

La domanda della Regina


Il "management" ha una visione d'insieme dei problemi a cui è chiamato a dare risposte?
O si occupa solo di dettagli?




Nel novembre del 2008, quando la crisi economica iniziava a manifestare i suoi effetti più devastanti, la Regina Elisabetta II in una sua visita alla London Business School chiese come mai nessuno l'avesse prevista.

Una prima risposta arrivò solo otto mesi dopo dalla British Academy, a firma di una trentina di professori delle più prestigiose università britanniche, banchieri, alti rappresentanti di istituzioni finanziarie. La parte centrale della lettera, a mio avviso, indirizza il cuore del problema. Parlando del rischio e di come venissero dispiegate ingenti risorse e le migliori conoscenze per gestirlo "...spesso (i banchieri) perdevano di vista il quadro complessivo". Gli autori proseguono con una sconfortante accusa: "Una generazione di banchieri e finanzieri ha ingannato se stessi e coloro che pensavano fossero gli ingegneri dell'economia avanzata." (E quella gente è ancora lì, anzi in alcuni casi ha fatto pure carriera!)

Quasi un mese dopo all'anziana sovrana fu recapitata una nuova lettera, questa volta firmata da una decina di altri illustri docenti. Costoro erano abbastanza daccordo su molti punti evidenziati dai loro colleghi ma li accusavano di aver omesso la causa principale: le carenze culturali degli economisti. 
Il dito veniva puntato questa volta sulla preferenza per le tecniche matematiche a scapito di altre discipline: psicologia, filosofia, storia. Queste avrebbero permesso loro di comprendere la realtà nel suo insieme e ottenere visioni sintetiche e globali utili all'azione di governo. Al contrario, come già evidenziava un lavoro della commissione dell'American Economic Association nel 1991,  le università di tutto il mondo, americane in testa, stavano producendo troppi idiots savants esperti di tecniche ma ingenui sui reali problemi economici.
Inoltre: "Modelli e tecniche (matematiche) sono importanti. Ma data la complessità dell'economia globale, ciò che è necessario è un più ampio spettro di modelli e tecniche governate da un più ampio interesse per la sostanza, e una maggiore attenzione ai fattori storici, istituzionali, psicologici e altre variabili rilevanti".
Insomma un atto di accusa sulla conoscenza di cui si era dotata questa categoria di classe dirigente per governare l'economia.

Veniamo a noi.
Sull'ultimo numero di Harvard Business Review, autoproclamatasi la bibbia mondiale del management, la copertina è dedicata ad una serie di articoli sul fattore felicità. 
Pare, udite udite, che grazie a recenti ricerche delle neuroscienze, della psicologia e dell'economia (che temo sia quella tanto biasimata nelle lettere alla Regina) via sia un chiaro legame tra una "prospera" forza lavoro e migliori prestazioni economiche.
Chi l'avrebbe mai detto!
Da quì partono una serie di articoli che illustrano la necessità di "misurare" la felicità, i progressi scientifici dietro lo studio della felicità, le ricerche sull'argomento, la necessità di passare dalla misura del PIL a quella della felicità o benessere, ecc.
Insomma un manifesto all'ombra dell'assioma, incontestabile e ampiamente accettato, che ciò che non si può misurare non può essere gestito. Detto in altre parole: la voglia di un modello matematico.

Non vi pare che si stiano perpetuando gli stessi errori degli economisti? Che la "cultura" attuale del management, almeno quella anglosassone ma quale è l'altra visto che tutti la scimmiottiamo, abbia preso la deriva del dettaglio, del particolare "misurabile" che fa perdere di vista la visione d'insieme? Che le preparazioni del passato e del futuro abbiano anche da noi sfornato stuoli di inconsci idiots savants abili nelle tecniche ma innocenti di fronte ai reali problemi organizzativi?

E non sarebbe ora di rifondare questa disciplina della gestione delle organizzazioni (il management) a partire dall'uomo, studiando, ristudiando quelle discipline che cercano di coglierne non dico l'essenza, ma almeno il profilo?

Non corriamo, infine, il rischio di trovarci di fronte ad una crisi "organizzativa", che non riesco nemmeno ad immaginare se non come blocco totale di tutte le attività, una sorta di sciopero "planetario", e la regina Elisabetta di turno chiederne conto a tutta la classe dirigente, studiosi, dirigenti, consulenti, domandando semplicemente: come mai non siete stati in grado di prevederla?
Che gli risponderemo? Che eravamo impegnati a misurare la felicità?

Luciano Martinoli
l.martinoli@cse-crescendo.com  

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