"Non è la mente l'origine dell'uomo, sono le passioni che originano tutto, anche il pensiero. E' il sentimento il seme dell'uomo, sono l'amore, la passione." (M. Tobino)
E' "vero" tutto ciò che ci piace e che decidiamo insieme agli altri che sia vero

martedì 6 marzo 2012

Creare invece di prevedere

Se il futuro non si prevede ma si crea, come si fa?
Un metodo di questo tipo, qualora esistesse, potrebbe prescindere da "tutte" le persone?

"Tutti sappiamo come lanciare nuovi progetti in un mondo prevedibile: un team è messo insieme, un mercato analizzato, creata una previsione e scritto un business plan. Vengono raccolte risorse e il piano è messo in movimento. Ma come lanciare un nuovo progetto in un ambiente imprevedibile? Quale è il miglior modo di farlo in una era dove la proliferazione di dati e opinioni rende le analisi veramente decisive impossibili, quando eventi lontani hanno un immediato e inatteso impatto; e quando malesseri economici hanno reso le aziende riluttanti a fare grandi scommesse su idee non provate?"

E' questo lo stuzzicante esordio dell'articolo "New project? Don't Analyze- Act" apparso sull'ultimo Harvard Busines review.
Gli autori propongono soluzioni a partire dalla ricerca di una loro collega che ha analizzato, con uno studio approfondito, 27 "imprenditori seriali".

Il cuore della soluzione viene subito centrato: invece di prevedere il futuro (gli imprenditori) lo creano!


Purtroppo il tema di come creare un futuro, che in azienda è sempre "sociale" visto che abbiamo bisogno dell'organizzazione per realizzarlo, non viene affrontato. L'autore propone la solita ricetta di stampo classico incentrata sul dirigismo centralistico: i capi decidono e gli altri fanno. All'occorrenza anche con un po' di manipolazione.
Dunque l'approccio "creazionista", che pure tali ricerche hanno rivelato, non viene preso in considerazione.  A supporto di questa mia analisi, mi soffermo sulla parte che riguarda le persone.
Nel paragrafo che riguarda i Primi passi vi sono due punti che riguardano chi coinvolgere. Nel terzo, "Assicurarsi solo il committment necessario per il prossimo passo", si teorizzano quattro tip di persone: coloro che vogliono che il progetto accada, coloro che lo aiuteranno ad accadere, coloro che lo lasceranno accadere e coloro che lo ostacoleranno. Si suggerisce di concentrarsi solo sulle prime due categorie, ma questa classificazione non riflette il reale modo con il quale l'imprenditore raccoglie commitment  sul suo progetto. Egli infatti raduna un "popolo" che sarà tanto più vasto e tanto più committed quanto più il suo sogno, non progetto, sarà ampio, coinvolgente e convincente.
Tutte queste persone, inoltre, non seguiranno l'imprenditore per quello che lui dice e vuole fare, ma per loro stessi, perchè vedranno in quel progetto un modo per realizzarsi. Ci sono i leaders e coloro che guidano. Seguiamo i primi perchè dobbiamo, i secondi perchè vogliamo. L'imprenditore vero, da questo punto di vista, non è un leader, lui guida. Ovvio dunque che non tutti desiderano essere guidati, altrettanto ovvio che l'imprenditore, preso dalla cura del suo popolo, non degnerà di attenzione gli altri. Ciò che viene osservato dai ricercatori non è frutto di una volontà, di un piano, ma emerge naturalmente dall'approccio imprenditoriale.

Il punto successivo riguarda "l'arruolamento": solo volontari, le persone che condividono il vostro desiderio.
"Non potete obbligare altri ad innovare", citano gli autori.
Vero, ma chi decide cosa è innovazione e cosa no?
Il capo? Il manager? il leader?
E se quello che lui pensa essere innovazione è una sciocchezza? O, più banalmente, non è un sogno ma semplicemente un progettino stupidotto? La ricetta va applicata lo stesso semplicemente perchè l'ha decisa il capo?
Oppure, se coloro che si oppongono lo fanno esclusivamente perchè non vedono un loro ruolo, perchè hanno motivazioni culturali, emotive, sociali.
Certo si può fare senza di loro, ma così facendo si sancisce che di queste persone non si ha bisogno. Poi però non ci si può lamentare, una volta che si è ufficializzata questa posizione, della loro indisponibilità e "resistenza al cambiamento" che, evidentemente, è stata, con questo atteggiamento, voluta e pianificata.

Se l'imprenditore riesce nei progetti è perchè ha capito la natura umana, ha capito che essa si muove per sogni non per convenienza, ha capito che le persone hanno bisogno di spazi di realizzazione che possono addirittura sorprenderlo, facendogli scoprire che non avrebbe potuto e saputo fare di meglio.
Ha capito che senza un sogno forte non c'è ricetta che tenga e che quest'ultima, senza il primo, non ha senso. 

Allora la prospettiva va ribaltata: non abbiamo bisogno di ricette per realizzare ciò che noi vogliamo realizzare, ma metodi per radunare popoli che realizzino un sogno comune, accettando che loro sapranno come fare, e rinunciando ad imporre il nostro unico e limitato modo.

Luciano Martinoli
l.martinoli@cse.crescendo.com

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