"Non è la mente l'origine dell'uomo, sono le passioni che originano tutto, anche il pensiero. E' il sentimento il seme dell'uomo, sono l'amore, la passione." (M. Tobino)
E' "vero" tutto ciò che ci piace e che decidiamo insieme agli altri che sia vero

giovedì 2 agosto 2012

Leadership: questione di "p...lle"?

Nell'Ottobre del 2009, William Deresiewicz tenne una conferenza agli allievi del primo anno dell'accademia militare statunitense dell'esercito a West Point. Troverete il testo completo in inglese quì .
Il titolo è quanto mai intrigante, Solitudine e Leadership, e lascio alla lettura del testo la scoperta del nesso tra le due (purtroppo non sono in possesso di una traduzione italiana ma molti pezzi della parte iniziale li tradurrò di seguito).
L'aspetto sul quale desidero soffermarmi è la definizione di "leadership" e l'analisi di come questa sia assente oggigiorno nella società americana (e temo non solo in quella!). Poichè purtroppo la nostra anglofonia scatenata, e un po' superficiale, trasforma le parole d'oltremanica (e d'oltreoceano) in "valigie" che arrivano a significare tutto e il suo contrario, consentitemi la non tanto velata allusione del titolo, anche se corro il rischio di apparire volgare.
La leadership di Deresiewicz, infatti, andrebbe così tradotta, per intenderci appieno, ed è una caratteristica che, in onore di una meritata par condicio, non esclude le donne, anzi!
Ma addentriamoci nel teso della lecture.

Leadership è la qualità del carattere e della mente che rende adatti a comandare un plotone, un battaglione, un'azienda, una organizzazione governativa.

Esordisce così Deresiewicz, ricordando che in tutte le istituzioni educatrici americane, dalle accademie militari alle prestigiose università quali Yale, Harvard, Stanford, MIT, e altre, vi è uno stimolo continuo affinchè gli studenti siano più bravi, competenti, furbi, veloci e, spesso, ferocemente ambiziosi. Ma questo fa di loro dei leader? Un bravo cardiochirurgo o una grande scrittore possono essere fantastici nel fare le loro cose, ma questo non significa che siano dei leader.
Leadership e attitudine, leadership e risultati, leadership ed eccellenza devono essere cose differenti, altrimenti il concetto di leadership perde di significato.

Ciò che vedo intorno a me sono bravi ragazzi che sono stati addestrati per essere saltatori di cerchio di livello mondiale. Qualsiasi obiettivo gli diate lo possono raggiungere, qualsiasi test verrà passato. Essi sono delle "pecore eccellenti"...Questo è esattamente cosa intendono posti come Yale quando parlano di addestrare leader. Formare persone che si fanno un gran nome nel mondo, con titoli impressionanti...che possono scalare le scivolose vette di qualsivoglia gerarchia loro decidano di attaccare. Ma io penso che ci sia qualcosa di disperatamente sbagliato, anche pericoloso, in questa idea.

E io sono d'accordo con lui!
Deresiewicz prosegue identificando un profilo di persona che prospera nell'ambiente burocratico, con la sola capacità di consentire alla routine di andare avanti. Questo fenomeno costituisce il grande mistero delle burocrazie: le migliori persone sono impantanate nel mezzo e chi gestisce le cose - i leader- sono delle mediocrità!
Ciò che si trova ai vertici sono talenti per le manovre.

Baciare i superiori sopra di voi, dare un calcio alle persone sotto di voi. Piacere ai vostri insegnanti, piacere ai vostri superiori, selezionare un mentore potente e andare a suo rimorchio fino a quando non sarà tempo di accoltellarlo alle spalle. 
Saltare nei cerchi... 
Essere qualsiasi cosa gli altri vogliono tu sia fino a quando si arriva a sembrare che non abbiate più nulla dentro di voi. Non prendere rischi stupidi come cercare di cambiare le cose o chiedere perchè sono fatte così. Mantenere la routine.

Fatta questa impressionante e, purtroppo, realisticamente drammatica descrizione, l'autore emette la sentenza:

Abbiamo una crisi di leadership in America (e da noi no? N.d.T.) perchè il nostro schiacciante potere e ricchezza , guadagnato sotto le precedenti generazioni di leader (quelli veri! N.d.T.), ci ha reso soddisfatti, e per troppo tempo abbiamo addestrato leader che sapevano solo come far andare avanti la routine. Che possono rispondere a domande, ma non sanno come formularle. Che possono raggiungere obiettivi, ma non sanno definirli. Che sanno come fare le cose, ma non cosa è meglio fare prima. Quello che abbiamo oggi sono i più grandi tecnocrati che il mondo abbia mai visto, persone che sono incredibilmente brave in una specifica cosa, ma non hanno nessun interesse in qualsiasi cosa sia oltre l'area di loro competenza. Quello che non abbiamo sono i veri leader. Quello che non abbiamo, in altre parole, sono i pensatori. Persone che possono pensare da se. Persone che possono formulare una nuova direzione: per il paese, per un'azienda, per una istituzione- un nuovo modo di fare le cose, un nuovo modo di guardare alle cose. Persone, in altre parole, con visione.

Fin quì la parte iniziale del discorso, bello, emozionante, ricco di citazioni letterarie che, per brevità, non ho riportato.
Quanto è distante questo quadro dalla situazione delle classi dirigenti nostrane?
E quanto è vero che nelle nostre aziende soffriamo per mancanza di... "p...lleship" da parte di molti cosidetti leader a tutti i livelli?
Sono così lontani i criteri educativi delle grandi università americane, su descritte, dai criteri con i quali noi, o i nostri capi, ci impongono di reclutare, coltivare, premiare le persone dell'organizzazione?
Quanti "manovratori e macchinisti", eccellenti nella routine, abbiamo in azienda rispetto a "pensatori" che, nel piccolo e nel grande, sanno dare una svolta diversa al lavoro loro e quello degli altri?

Forse la crisi che stiamo vivendo dipende anche da questo: dall'incapacità di dare spazio alle persone che possano indicarci nuove prospettive, schiacciate da coloro che pensano si possa vivere all'infinito di ciò che ci hanno lasciato le generazioni precedenti.

Non sarebbe una grande, utile e feconda novità iniziare a riconoscere e dare spazio alle persone, che ci sono, dotate di vere..."leadership" nel senso fin quì descritto?

Luciano Martinoli
l.martinoli@cse-crescendo.com

2 commenti:

  1. Un bell' articolo. E' vero che abbiamo una grande bisogno di creare condizioni optimali per dare spazio alle persone che possano indicarci nuove prospettive. Questo e vero per gli Usa, per Italia e sopratutto per i paesi in via di sviluppo come l'Albania. Complimenti Luciano

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  2. Grazie Luiza
    Come sai dai nostri interventi, abbiamo messo appunto un metodo per fare accadere queste cose "socialemente". Una metodologia che tiene conto dello stato dell'arte di tutta la conoscenza oggi disponibile sull'argomento. Se fossi interessata trovi qualche cenno su questo blog (box libri, link, eventi).
    Grazie

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