"Non è la mente l'origine dell'uomo, sono le passioni che originano tutto, anche il pensiero. E' il sentimento il seme dell'uomo, sono l'amore, la passione." (M. Tobino)
E' "vero" tutto ciò che ci piace e che decidiamo insieme agli altri che sia vero

venerdì 12 ottobre 2012

E se ciò che manca fossero le "classi dirigenti"?




Ogni professione è fondata su un sistema di risorse cognitive (conoscenze) socialmente riconosciute. L’evoluzione di una professione è stimolata e stimola l’evoluzione del sistema di risorse cognitive che la fondano. Possiamo personalizzare questa affermazione: anche le persone sono le loro risorse cognitive. 
Allora la domanda si concretizza nel modo seguente: quale è lo stato dell’arte e le dinamiche di sviluppo del sistema di risorse cognitive che caratterizza le professioni del gestire strategie, organizzazioni e persone?


La realtà è che non esiste un patrimonio esplicito, coerente (pur non fisso e non ideologico) e validato di conoscenze che venga socialmente considerato come riferimento fondamentale per la professione del gestire strategie, persone ed organizzazioni. Esiste un’informale ideologia, che si rifà alle prime formulazioni delle teorie organizzative. Ed è la visione del management come “Command and Control”.

A livello accademico si è sviluppata una ricca gamma di prospettive e proposte, anche scientificamente pregevoli, ma che, innanzitutto, sono parziali perché riguardano singoli aspetti (e non tutti) dell’organizzazione e del suo Governo. Poi, non sono “metodologizzate”. Da ultimo, non riescono a dialogare sinergicamente tra di loro. Il risultato, a livello accademico, è che si è venuta a creare un’ecologia disordinata di prospettive e proposte che appare complessa e poco operativa. In sintesi, disorienta.

A livello consulenziale esistono le grandi “burocrazie di servizio” che sposano fondamentalmente la filosofia del “Command and Control”, arricchita con qualcuna tra le più accreditate prospettive e proposte accademiche.

Esistono, poi, i “Guru” che sviluppano sistemi di pensiero assolutamente personali che considerano innovativi e complessivi. Qualche volta sono la trascrittura del pensiero di qualche Guru americano. Qualche volta sono frutto di esperienze e riflessioni personali. In tutti i casi, però, si tratta di innovazione “autoriferita”. L’autore considera il pensiero che ha sviluppato innovativo per il semplice motivo che non lo conosceva. E’ innovativo rispetto al suo pensiero passato, ma non in assoluto perché è privo di qualsiasi confronto o riferimento con le prospettive e proposte esistenti. Qualche volta assume anche aspetti pseudoreligiosi, con vagheggiamenti New Age. Dal punto di vista operativo è solo autopromozione: lasciate fare a me che sono più bravo di voi.

Di fronte a questa situazione di “disordine”, le risposte dei managers  sono il rifugiarsi nell’esperienza, nell’amicizia e nell’empatia. Ma non si tratta di “buoni rifugi”. L’esperienza è, apparentemente, un buon rifugio, ma, invece, presenta una serie di controindicazioni molti rilevanti. Innanzitutto occorre osservare che l’esperienza porta a costruire sistemi cognitivi complessi che guidano le capacità di selezione, di valutazione, di progettualità. In un mondo “statico” gli schemi cognitivi costruiti dall’esperienza sono un ottimo “strumento di lavoro”, efficace ed efficiente. Invece, in un ambiente in rapida evoluzione, un’evoluzione che non è tanto da contemplare ed assecondare, ma da costruire, costituiscono un ostacolo rilevante perché attraverso di essi si tende a riprodurre il passato. 
Poi l’esperienza non è “insegnabile”. Può solo essere rivissuta. E, questo, da un lato, richiede risorse ed energie rilevanti. Dall’altro il risultato che si ottiene è una nuova esperienza che non ha nulla a che vedere con quella che ci si è prefissi di insegnare. Ancora: gli schemi cognitivi costruiti con l’esperienza tendono ad essere ideologici. Questo significa che l’esperienza non solo non spinge a cercare nuovi schemi cognitivi, ma anche a non comprenderli, anzi a rifiutarli quando vengono proposti. Infine, costringe ad adottare atteggiamenti prometeici, qualche volta infantilmente prometeici che “completano” la tentazione al rifiuto di nuovi schemi cognitivi. Infatti, in un periodo di “competizione” all’interno delle classi dirigenti, l’accettare schemi cognitivi proposti da terzi significa accettare, forse anche affermare, la superiorità di questi “terzi” con i quali si sta competendo.

L’affidarsi alla relazione amicale ottiene lo stesso risultato: si delega la scelta delle risorse cognitive da acquisire. Ma se gli amici a loro volta si rifanno all’esperienza si ripropongono i problemi precedentemente citati.

Anche l’utilizzo dell’empatia, non in assoluto, ma nel quadro precedentemente descritto ha come scelta il delegare la scelta delle ricorse cognitive da utilizzare al “guru” che più riesce a cogliere desideri nascosti, debolezze …

La mancanza di un patrimonio esplicito di conoscenze socialmente considerate fondamentali genera una pratica impossibilità di far evolvere una professione. Anzi genera il rischio di una sua continua involuzione autoreferenziale. Non esistono grandi Progetti di Ricerca e Sviluppo, ma solo iniziative individuali o di piccoli gruppi accademici che si occupano di singoli aspetti della struttura di una organizzazione o dell’identità della persona umana. Esiste una proliferazione di “Guru”. Non esiste, conseguentemente, la spinta ad un continuo aggiornamento, ad una sperimentazione audace.

Se stessimo vivendo una stagione di sviluppo alto e forte, tutte le considerazioni precedenti sarebbero, forse, interessanti, ma non mobilitanti. 
Se sposiamo la teoria, deresponsabilizzante, che la soluzione sta sempre al livello gerarchico superiore (le imprese si appellano allo Stato, lo Stato si appella all’Europa, l’Europa etc.) …
Se ci rifugiamo nel nichilismo del “tanto non cambia mai nulla” o nelle sua versione gattopardesca “tutto cambia per non cambiare” … allora quanto segue è inutile e noioso.

Se, viceversa, accettiamo, come ruolo sociale dell’essere classe dirigente, una responsabilità fattiva nel contribuire a costruire sviluppo … allora non possiamo che riconoscere che la complessiva mancanza di sviluppo è la somma di tanti mancati sviluppi “locali”: negli spazi di nostra diretta e completa responsabilità.
Insomma, se non siamo scaricabarili, nichilisti o fatalisti, non possiamo che addebitare a noi come classe dirigente economica questo deficit di sviluppo.

Vi sono molti segnali che guidano in questa direzione.
Le sfide sono di crescente complessità: l’esigenza di cambiamento strategico-organizzativo sempre più profondi. E i risultati che si riescono ad ottenere sono calanti, sia a livello organizzativo che personale. Soprattutto stanno calando le nostre attese. Stiamo considerando fatali e non contrastabili le crescenti difficoltà. Soprattutto le crescenti difficoltà di cambiamento.

Questa scoperta è molto consolante. Non è una accusa, ma permette di individuare immediatamente una precisa strada che possiamo iniziare a percorrere …
Cominciamo a descriverla per noi classi dirigenti economiche.

Il compito delle classi dirigenti economiche è quello di gestire strategie, organizzazioni e persone. Allora l’imperativo categorico è evidente: per costruire uno sviluppo alto e forte è necessario far evolvere le professioni che riguardano il gestire strategie, organizzazioni e persone. Fare evolvere le professioni che costruiscono sviluppo.
Noi crediamo che per far evolvere la professione di gestore di strategie, di organizzazioni e di uomini, occorre rendere disponibile a managers ed imprenditori un nuovo sistema di risorse cognitive. Dove la parola nuovo non sia solo un riferimento personale, ma sia riferito alla mappa dello stato dell’arte; per riuscire a costruire un mercato che permetta lo sviluppo della conoscenza e la disponibilità di servizi.

Crediamo, e con questa convinzione concludo, che oggi sia necessaria anche una classe dirigente felice. 
Felice perché carica di speranza per il futuro. 
Felice perché capace di una nuova qualità della vita che deriva solo da una nuova modalità di governare.
Per raggiungere questi obiettivi non possiamo rimanere, se pure fosse possibile, legati da una filosofia e prassi di governo che genera conflitto e solitudine. 
Ed essa nasce solo da una nuova conoscenza.
Una nuova conoscenza, in sintesi, per cambiare il mondo e se stessi.






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