"Non è la mente l'origine dell'uomo, sono le passioni che originano tutto, anche il pensiero. E' il sentimento il seme dell'uomo, sono l'amore, la passione." (M. Tobino)
E' "vero" tutto ciò che ci piace e che decidiamo insieme agli altri che sia vero

venerdì 27 aprile 2012

Il presidente, i faccendieri e gli improvvisatori


di
Luciano Martinoli e Francesco Zanotti

Riteniamo nostro preciso dovere professionale rendere disponibile lo stato dell'arte della cultura organizzativa e strategica alla classe dirigente del nostro paese.
Riteniamo nostro preciso dovere investire in ricerca per dare un contributo originale allo sviluppo di queste conoscenze.
E' una sfida imprenditoriale ma, prim 'ancora, un preciso impegno di responsabilità verso la comunità dove viviamo, per dare il nostro contributo a costruire quello "sviluppo", oggi tanto necessario.
Lo riteniamo nostro dovere mentre sta diventano evidente che nelle imprese pullulano faccendieri, improvvisatori  e plagiatori …

Uno strumento per realizzare questo nostro impegno sociale è quello di organizzare incontri, dibattiti ed eventi ai quali invitare i massimi responsabili delle aziende ed istituzioni italiane e non solo.
Nei colloqui con loro, e molto spesso con le loro gentili assistenti, abbiamo la possibilità di inviare documenti, scambiare opinioni, ottenere la loro partecipazione o meno secondo gli impegni della loro già affollata agenda.
Curioso, in questo contesto, il caso di un presidente di una grande azienda. Lo raccontiamo, ovviamente in forma anonima, perché ci interessa denunciare il processo “cognitivo” che esso rivela. E’ uno dei processi cognitivi che sta al fondo della crisi. Che non è una crisi di mercato e di norme, ma è una crisi delle mente e dei cuori. E’ il processo cognitivo che permette che le imprese pullulino di faccendieri, improvvisatori e plagiatori e che si affidi a loro la salvezza del nostro paese.

Il processo cognitivo che vogliamo denunciare è il seguente: il rifiuto della conoscenza.

Stiamo promuovendo il seminario gratuito (già il fatto di dover promuovere un seminario gratuito dove si regalano gli investimenti in ricerca di anni, riconosciuti a livello internazionale, fa pensare) che abbiamo organizzato il 3 maggio sulla Organizzazione quantistica. In tutta coscienza crediamo che non sia una delle solite trovate di marketing che si aggiunge alle mille altre trovatine del tutto autoriferite e che servono a sfangare qualche giornata di formazione alle imprese (gli improvvisatori). Nasce da una ricerca a livello internazionale sui modelli di analisi e progettazione organizzativa. Questa ricerca ci ha permesso di scoprire che lo stato dell’arte della conoscenza organizzativa è fondato su una visione classica del mondo. Partendo da una visione quantistica si arriva a proporre prassi di analisi e progettazione organizzativa radicalmente diverse anche dalle più avanzate. Addirittura capaci di dare una risposta ad una nuova esigenza che sta nascendo e che rimane insoddisfatta: la individuazione del ruolo delle risorse umane e dei manager delle risorse umane nel processo di sviluppo strategico.
Stiamo promuovendo questo seminario e l’abbiamo proposto anche ad una grande impresa internazionale: al suo presidente. Come ci aspettavamo non abbiamo ricevuto risposta immediata (come quella che invece ricevono i faccendieri). Allora ci siamo fatti parte diligente nel sollecitarla. E l’assistente di questo presidente, seccata, ci ha risposto: “Ma non pretenderete che  il presidente partecipi ad un seminario!". Noi abbiamo usato la lettera minuscola per iniziare la parola “presidente”. Ma si sentiva che la segretaria stava immaginando una inziale maiuscola, addirittura tutto la parola scritta maiuscola …

Noi proponiamo contenuti che giudichiamo rilevanti. Ovviamente molti altri proporranno innovazioni significative. Cioè: la conoscenza progredisce. Purtroppo la signora ha opposto il suo rifiuto non conoscendo per nulla i contenuti proposti “ Il PRESIDENTE, sa tutto ciò che gli serve per fare il suo mestiere, non ha bisogno di altro.”.
Che tristezza un rifiuto indipendente dal contenuto. Che paura l'affermazione di un principio di autarchia culturale in un mondo dove stanno sbocciando profondi processi di creazione sociale di nuova conoscenza.

Signor presidente Quando ha imparato le cose che sa? Quanto tempo fa? E nel frattempo tutto è rimasto immobile? Così come immobile e piegata ai suoi voleri è l'organizzazione ai suoi piedi?
Non pensa che queste sue granitiche certezze siano anche esse la causa della crisi che stiamo vivendo: una visione di un mondo che si pensava immodificabile, che tutto sarebbe stato uguale a quando lei ottenne la sua carica?
Che futuro ha un'azienda i cui vertici la pensano così, chiusi nelle loro torri eburnee, fermi sulle loro impolverate certezze?
Speriamo bene per l'azienda che presiede, non per lei, signor presidente, che sono sicuro che ha un sistema di paracaduti che non la farà mai sprofondare nell'abisso della disperazione che sta colpendo tanti nostri compatrioti, ma per quei tanti lavoratori alle sue dipendenze che potrebbero ritrovarsi in quell'abisso, vittime della presunzione dei loro capi di essere nati "imparati", di non aver bisogno di null'altro oltre ciò che già si sa, di pensare che il mondo sia fermo a quando l'hanno visto l'ultima volta camminando per strada, da comuni lavoratori.

Purtroppo nelle imprese vive ancora la cultura del potere: l’obiettivo non è quello di costruire, ma di occupare. Aumentare il proprio potere. E così i faccendieri, che promettono di essere fornitori di potere, diventano gli interlocutori privilegiati, come periodicamente la cronaca ci rivela.
Ah, sig. presidente, questo non è certamente il suo caso. Ma lo è quello di molti altri …

Accanto a loro pullulano gli improvvisatori e i plagiatori. Infatti, poi, qualche rimorso di coscienza emerge. Anche l’uomo di potere è un uomo e cede alle lusinghe della conoscenza. Ma allora cade preda di improvvisatori e plagiatori. Una storia di pochi anni fa. Prendo un libro e noto che ha lo stesso titolo della traduzione italiana di un importante libro straniero: “Images. Le metafore dell’organizzazione”. Lo leggo e scopro che è quasi integralmente copiato. Leggo la prefazione e scopro che contiene lodi sperticate alle innovazioni contenute nel libro … copiato. L’estensore della prefazione era un importante Direttore del Personale …
Faccendieri, improvvisatori e plagiatori intorno, dentro le imprese a dispetto di qualunque esigenze di sviluppo.




lunedì 23 aprile 2012

Felici "a prescindere"

Guardate l'ingranaggio quì di lato. Quali prestazioni si possono desiderare da questo oggetto? Vediamone alcune:
  • Non arrugginire
  • Usura diminuita grazie all'uso di lubrificanti.
  • Resistenza agli urti e al carico
  • Silenziosità di funzionamento
  • Durata...
Tali caratteristiche, assolutamente generali, sono altamente desiderate per ottenere una "elevata produttività". Sono dipendenti dal contesto di uso? Sicuramente no, si richiederebbero le stesse identiche cose, a meno di specifi "range", se il nostro ingranaggio fosse nel cambio di un'automobile o nel meccanismo di rotazione di una torretta di un carrarmato. E' un oggetto, costruito dall'uomo e le cui caratteristiche gli sono state date dal progetto.
Si può parlare di "caratteristiche funzionali" delle persone allo stesso modo? Avulse da un contesto? Facile arguire una risposta negativa... e invece sulla Repubblica del 23 Aprile si sostiene il contrario

La conoscenza che non c’è!



di
Francesco Zanotti


Viviamo in un grande equivoco. Poi le cose non accadono. Ma la ragione sta proprio in un equivoco grande come una casa.
Ne ho avuto piena consapevolezza leggendo un articolo del Sole 24 del 20 aprile a firma Patrizio Bianchi.
“La sfida è il capitale umano” titolava …
L’equivoco è evidente: l’Autore immagina che la conoscenza oggi necessaria per essere competitivi sia un oggetto esistente, stivato da qualche parte che occorre diffondere il più possibile. 
Infatti l’Autore usa una espressione di moda che sembrerebbe sacrilegio contestare “ … i fattori attrattivi diventano le infrastrutture che innalzano i livelli dell’educazione di base ed avanzata, della formazione del capitale umano, della creazione e del trasferimento di conoscenze”.
Ma è una frase retorica! Cosa manca? Il dire quali sono i processi che innalzano i livelli di educazione, come devono essere strutturati questi processi formativi. Come è strutturato un processo di creazione di conoscenza. Quali conoscenze occorre trasferire.
Ma l’autore non lo dice perchè è a tutti evidente … o no?
Purtroppo no: oggi basta leggere la letteratura più seria e meno commerciale e ci si accorge che tutte quelle domande non hanno oggi una risposta soddisfacente.

Più avanti “… innalzare quelle competenze necessarie per comprendere di più il mondo in cui siamo chiamati a competere.”.
Anche qui l’autore non specifica quale siano queste competenze e come possano essere trasferite. Ancora una volta: le da per scontate. Ma non sono per nulla scontate.

In sintesi, ad un approfondimento serio appare evidente che continuiamo a scambiarci esortazioni retoriche parlando di conoscenza, formazione e competenze.  Sono parole che avevano un senso preciso quando si parlava di conoscenze tecnologiche e del trasferimento delle stesse.
Se usciamo dalle pure conoscenze tecnologiche e ci avventuriamo nella conoscenze scientifiche e nelle conoscenze che riguardano i sistemi umani ci accorgiamo che le certezze scompaiono.
La vera urgenza è quella di attivare un grande progetto di ricerca che abbia come obiettivo il capire quali sono i processi di evoluzione autonoma del sistemi umani e come si può guidare questo processo. Insomma abbiamo bisogno di capire cosa è che è necessario “maneggiare” (non una macchina, ma un sistema con una autonoma capacità di evoluzione) e cosa vuol dire maneggiare una autonoma capacità di evoluzione.
Noi abbiamo avviato i primi passi di questo progetto di ricerca e li presenteremo nel seminario sulla organizzazione quantistica.

mercoledì 18 aprile 2012

Gestire cosa?


di
Francesco Zanotti

La mancanza di tempo è drammatica. Più le difficoltà aumentano, più si affastellano urgenze. L’obiettivo. Tenere sotto controllo una organizzazione che sembra scappare da tutte le parti …
Auguri!
In realtà ... Poiché non è possibile prescrivere tutti i comportamenti, le persone hanno grandi spazi di autonomia nello scegliere istante per istante i comportamenti da adottare. Hanno anche la possibilità di non seguire i comportamenti prescritti, ma sceglierne altri, pur accettando le sanzioni.
Ma in base a che criteri scelgono i comportamenti?
Le persone costruiscono quella che si definisce organizzazione informale. Si formano modalità di ragionamento, sentimenti personali, relazioni sociali e valori condivisi. E’ da questo mix di razionalità, emozionalità, socialità e “valorialità comunitaria” che emergono i comportamenti.
Ora il formarsi dell’organizzazione informale non viene in alcun modo gestito. Il risultato è che l’organizzazione informale che emerge è scollegata dalla organizzazione formale. Invece di costituirne l’anima rischia di costituirne l’opposizione. I comportamenti che genera sono casualmente collegati a quelli previsti dalla organizzazione formale.
Possono anche  essere del tutto antitetici.
La conclusione? Le urgenze sono dovute al fatto che si gestisce solo la parte formale dell’organizzazione. E si lascia il formarsi dell’organizzazione informale al suo destino.  Gestire le urgenze significa crearne sempre di più.
Alternativamente? Accettare che serve un nuovo management, che non maneggia, ma che sa gestire il processo di sviluppo autonomo di una organizzazione informale. 


lunedì 16 aprile 2012

Il Processo di trasferimento delle competenze

di
Francesco Zanotti
f.zanotti@cse-crescendo.com  francesco.zanotti@gmail.com

Ecco l'ultima ipotesi implicita (errata) della gestione delle Risorse Umane.
Si riconosce che le competenze hanno “intensità” diverse e sono qualitativamente diverse.
Allora si usano processi di trasferimento più o meno intensi a seconda della intensità delle competenze che intendiamo acquisire. Per le competenze hard si usa l’espressione “training”, ma, mediamente, non si usano metodologie specifiche. Soprattutto i processi di training che vengono scelti non sono fondati su di una specifica teoria del processo di apprendimento che la mente umana mette in campo per quanto riguarda questo specifico sistema di competenze. Per le competenze più complesse (come le competenze manageriali), si usano i metodi attivi (gruppi lavoro, outdoor, ecc). Si parte da visioni più complesse delle competenze, Si riconoscono il ruolo attivo delle persone, ma si dimentica che tali competenze sono contestuali. Dunque attivarle fuori dal contesto di lavoro non garantisce nessuna “trasferibilità” al suo interno. Anzi, potrebbe generare frustrazioni proprio per questo motivo.



venerdì 13 aprile 2012

La formazione e il cambiamento come “tornitura”

di
Francesco Zanotti
f.zanotti@cse-crescendo.com francesco.zanotti@gmail.com

Ancora sulle ipotesi implicite errate.
Non è detto che si trovino le persone che “fittano” perfettamente le esigenze di attitudini e competenze dei diversi ruoli aziendali. Allora è necessaria una azione di formazione che colmi gli inevitabili gap.
Riflettendoci bene, cambiamento e formazione sono lo stesso tipo di operazioni di governo. La formazione e il cambiamento sono, allora, processi di ”tornitura” di persone ed organizzazioni.
Sostenibili?

mercoledì 11 aprile 2012

La selezione come "setaccio"


di
Francesco Zanotti




Continuo a presentare, in forma di stilla, le ipotesi implicite (ma errate) sulla gestione delle risorse umane. Questa volta voglio gettare lo sguardo sul processo di "selezione". 
Come fare a scegliere la persona giusta da collocare al posto giusto? Come rendere meno generica l’intuizione che una persona deve essere “brava”? E’ necessario trovare un “setaccio” con i buchi adatti a trattenere (come pagliuzze d’oro: i famosi talenti) le persone che detengono le competenze e le attitudini necessarie al buon funzionamento dell’impresa. Il selezionare è un setacciare con il setaccio “giusto” il mercato del lavoro, interno ed esterno all’impresa. Fuor di metafora: la selezione viene intesa come momento di  analisi e giudizio.

martedì 10 aprile 2012

Risorse umane “classiche”, Persone quantistiche


di
Francesco Zanotti

Ma che c’entra la fisica quantistica?
C’entra perché essa non riguarda solo il microcosmo, ma costituisce una nuova visione del mondo. Guardando le risorse umane dal suo punto di vista, esse appaiono e possono essere valorizzate come persone. Con grande gioia degli azionisti …

Oggi (purtroppo) prevale ancora la visione del mondo propria della fisica classica che considera le persone “risorse umane”. Cioè: oggetti classici.
Esse hanno caratteristiche intrinseche ben definite e misurabili: un “potenziale” esattamente descrivibile “in vitro” (cioè in modo indipendente dal contesto). Sono dotate di risorse altrettanto ben definite e separate le une dalle altre: le competenze. Queste competenze sono come strumenti ai quali ne possono essere aggiunti altri, uno strumento, una competenza per volta. Le risorse umane dispongono di un patrimonio di competenze che devono essere arricchite e possono essere richiamate quando servono.
Hanno una ovvia capacità decisionale, ma che è di tipo razionale (si sceglie l’alternativa più conveniente). Per questo possono essere “gestite” con una comunicazione che spiega cosa è giusto fare e con premi e punizioni per spingere nella direzione giusta.
Insomma, secondo la visione classica del mondo, le risorse umane sono strumenti della direzione. Strumenti preziosi, ma strumenti. Strumenti da conoscere, da migliorare a da usare.

Ed ora vediamo la versione quantistica. Poi ognuno sceglierà quella che giudicherà più “consona” per se’ e per gli azionisti. Non dimentichiamo gli azionisti che, prima o poi, potrebbero informarsi su come vengono gestite le persone.

Le persone, ogni persona è un insieme incommensurabile di potenzialità di divenire. La fisica quantistica suggerisce la seguente metafora: ogni persona è un “vuoto quantistico infinitamente pienissimo”. La loro storia personale ha, piano piano, sopito molte di queste potenzialità. Le ha cristallizzate. Anche la loro storia aziendale ne ha tacitate molte. Ogni sforzo per misurare quante ne restano (il potenziale) non esplora certo le opportunità rimaste. Ma è capace di individuarne solo pochissime ed in modo banale. Trascurando tutte le altre e, quindi, ponendo le basi per la loro eliminazione.
Ma, come la matematica ci insegna, per quante volte (numero finito di volte) togliate quantità finite di potenzialità di divenire, queste rimarranno infinite.
“Maltrattate” fino a  che volete le persone, ma non riuscirete a smantellare questa loro potenzialità infinita di divenire.
Ogni sforzo direttivo (sia esso formativo che direttivo in senso stretto) agisce su una infinità di potenzialità di divenire sconosciuta. Il suo risultato non può essere una finalizzazione, ma diventa “casuale”. Al massimo riesce a far sì che le persone non usino questa loro potenzialità di divenire nell’impresa, ma fuori di essa.
In sintesi, secondo la visione quantistica le persone sono potenzialità infinite irriducibili che uno sforzo direttivo può solo rovinare a non indirizzare.

Che fare allora? Quale punto di vista adottare? Le esigenze di sviluppo strategico hanno bisogno di risorse strumenti o di persone che sono infinite potenzialità di divenire e fare? Come “gestire” queste persone infinite?

venerdì 6 aprile 2012

Le persone come "competenze"


(Stimoli per l'evento del 3 Maggio)
di
Francesco Zanotti




Le persone sono considerate ingranaggi da utilizzare funzionalmente. Però proprio perché non sono solo ingranaggi, occorre gestire questa “alterità” in modo opportuno perché somiglino sempre di più solo ad ingranaggi. Intelligenti perché è necessaria una sempre più alta partecipazione, ma sempre ingranaggi.
Le caratteristiche specifiche delle persone sono le competenze che sono ovviamente oggetti classici.
Le prestazioni vengono definite “competenze” e queste “competenze” sono considerati oggetti che: 
sono definibili senza riferimento ad un contesto,
sono distinte le une dalle altre
possono essere “sommate”: se si forniscono due competenze esse non interferiscono, ovvero il totale è uguale alla somma delle parti.
si conservano nel tempo
essendo a-contestuali possono essere trasferite da una contesto all’altro
deve esistere un sistema ideale di competenze che fa il manager ideale.

In realtà, allora, la risorsa umana, più che un sistema (che è poi solo una somma, forse anche solo un elenco) di competenze, non è invece un serbatoio di competenze?