"Non è la mente l'origine dell'uomo, sono le passioni che originano tutto, anche il pensiero. E' il sentimento il seme dell'uomo, sono l'amore, la passione." (M. Tobino)
E' "vero" tutto ciò che ci piace e che decidiamo insieme agli altri che sia vero

giovedì 11 settembre 2014

Rispettare la diversità? E quale?

di
Francesco Zanotti
Oggi il dibattito sulla diversità rischia di essere formale e non sostanziale. Questo comporta che il rispetto della diversità sembri un valore da proteggere formalmente e con fatica: con le regole o con la sensibilizzazione. In questo modo però alle imprese (ai capi che le guidano) sembra, anche questo come molti altri anche se non è politicamente corretto ammetterlo, sempre più un ulteriore vincolo costoso.

Se invece che della forma si inizia a dibattere sulla sostanza delle diversità, si scopre che alle imprese conviene e di molto, non solo proteggere, ma stimolare e valorizzare la diversità. E’ l’investimento a più alto ritorno.

Facciamo degli esempi.
Partiamo dalle diversità conosciute. Esse sono sostanzialmente: diversità di genere, di provenienza geografica, di religione e di età.
Consideriamo la più difficile da “combattere”: la diversità di generazione (di età). Oggi forse non è considerata neanche una diversità da proteggere. Anzi. Chi non sta cercando di praticare la politica: largo ai giovani?
Bene per andare nel profondo (quindi nella sostanza) di questa diversità basterebbe pensare che il processo di sviluppo del cervello di una persona fa si che le prestazioni cognitive di un anziano non siano inferiori a quelle di un giovane. Ma solo diverse e complementari. I giovani riescono a concentrarsi maggiormente sui dettagli, mentre le persone mature riescono molto meglio a “pensare in grande”: a fare collegamenti tra idee, a condensarle in disegni complessivi. Cosa conviene all'impresa? Conviene disporre di un mix generazionale il più articolato possibile per disporre di modalità di pensiero le più ricche possibili. La politica del “largo ai giovani” priva le imprese di capacità di sviluppare visioni, progetti strategia complessive. Come politiche gerontocratiche privano le imprese di sguardi sulle trasgressioni tecnologiche, metodologiche, sociali etc.

Ma parliamo anche delle diversità, quindi, delle discriminazioni sconosciute, ma diffusissime, profonde e devastanti che impattano ogni giorni su efficacia, efficienza, qualità, compliance e benessere. Continuo con la strategia della esemplificazione.
Lo sguardo è alla base dell’organizzazione. All'interno: dove si produce. All'esterno: dove si vende. Lo sguardo è ai pensieri ed ai  comportamenti di coloro che vendono e producono. Che costruiscono o non costruiscono efficacia, efficienza, qualità compliance e benessere.

Prendiamo un gruppo di lavoro. In un gruppo di lavoro si sviluppano molte dinamiche tra le quali vi è anche la creazione di un capro espiatorio. In molti gruppi svolge la funzione essenziale di parafulmine di tutto quello che non funziona. Peggio: diventa il riferimento fondamentale per i pensieri e l’azione delle persone del gruppo. Uno degli obiettivi che il gruppo cerca di raggiungere, per raggiungere il quale investe energie temporali, cognitive ed emotive è quello di dimostrare che Giovanni (chiamiamo così il capro espiatorio) ha veramente la colpa di tutto quello che accade. Se non si fa questo il mito del capro espiatorio non regge. Perché regga è necessario dimostrare ogni giorno, in ogni occasione quanto Giovanni sia imbranato o incompetente o lavativo. Giovanni allora avrà come chiodo fisso quello di difendersi, di dimostrare il contrario.

Il generare un capro espiatorio è un atto di discriminazione profonda che non appare, che non si può interdire con norme o con “prediche” (non è bello, non è giusto discriminare Giovanni), che la dirigenza dell’impresa non vede e non può vedere, ma che costa moltissimo perché distoglie energie crescenti ad attenzione, efficacia, efficienza, qualità, compliance e benessere. E’ un atto di discriminazione profonda che mina alla radice la capacità dell’impresa di generare valore.   

Ma come promuovere e valorizzare la sostanza delle diversità? In tempi brevi e con costi irrisori, in modo che si traduca immediatamente in un booster di sviluppo?
La nostra risposta alla prossima puntata.


1 commento:

  1. Il tema mi interessa particolarmente e quindi aspetto con ansia il prossimo post.
    Intanto mi piace sottolineare un aspetto della parola "rispetto".
    “Rispettare l’altro e le sue differenze”, significa ritenere che l’altro possa avere ragione anche se io non sono d’accordo; per rispettare l’altro devo capire il suo linguaggio, mettermi in sintonia con lui, ascoltarlo. E ascoltare, ascoltare in modo attivo significa mettersi nei panni dell’altro, assumere il suo punto di vista; significa, quindi, fare spazio all’altro dentro di noi, permettere all’altro di entrare in noi. È un esercizio che non può non suscitare un forte conflitto interno, perché ascoltare l’altro significa, almeno in parte, togliere spazio a noi stessi, alla nostra autonomia, al nostro modo di vedere il mondo e richiede un grande sforzo. La pratica del dialogo e della valorizzazione delle differenze è fonte di sviluppo solo se se ne accetta e se ne riconosce l’alto contenuto conflittuale che comporta per gli attori in gioco: il lasciarsi “penetrare” dall’altro e il mettere in gioco le proprie certezze. Se si nega il conflitto, e quindi l’incontro, non c’è “valorizzazione dell’altro” o crescita personale, ognuno rimane nella propria posizione iniziale a grande distanza dall’altro. È questo il rischio che si può correre con un “eccesso di rispetto per l’altro”. “Rispetto” è un termine che si usa nella scherma per indicare la giusta distanza per iniziare il duello, una distanza che viene appunto definita “distanza di rispetto”. Il rispetto dell’altro, e quindi una certa distanza, è fondamentale per costruire e permettere un buon incontro: il problema si ha quando c’è un “eccesso di rispetto”. L’eccesso di rispetto richiama ad una distanza di sicurezza che mi mette al riparo dall’incontro con l’altro, evitando il rischio di un incontro che può mettermi in pericolo e in discussione: in questo caso il rispetto non è ascolto, accoglienza, ma distanza, separazione, non ascolto. A volte quando c'è un grande rispetto per gli altri, in realtà c'è una grande distanza. Non c’è ascolto, messa in discussione della propria posizione, ma solo negazione dell'altro.

    Stefano P.

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