"Non è la mente l'origine dell'uomo, sono le passioni che originano tutto, anche il pensiero. E' il sentimento il seme dell'uomo, sono l'amore, la passione." (M. Tobino)
E' "vero" tutto ciò che ci piace e che decidiamo insieme agli altri che sia vero

giovedì 30 luglio 2015

Fai in modo di non dover licenziare!

di
Francesco Zanotti

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Uno dei compiti più ingrati di un Responsabile HR è oggi quello di dover licenziare. Scegliere chi licenziare, comunicarglielo …
Ecco a me sembra che un Responsabile HR si dovrebbe chiedere: cosa ho fatto io per non essere costretto a licenziare?
Le risposte possibili sono due.
La prima è quella di dare la colpa al fato: la crisi et similia. Questo equivale ad affermare: io non ci potevo fare nulla. Bene, sostenere questa tesi è come sostenere che non si ha alcun ruolo nello sviluppo strategico dell’impresa. Per favore, chi lo sostiene almeno abbia il coraggio di non parlare più del ruolo strategico delle risorse umane! E si aspetti di essere sostituito da una qualche società di outplacement che, almeno, aiuta chi viene licenziato.

La seconda risposta è quella di capire cosa si può fare per non essere costretti a licenziare. Vi sono due cose da fare.
La prima cosa da fare è quella di aumentare la qualità della progettualità strategica in modo da rinnovare radicalmente l’identità strategica dell’impresa. Mi si potrebbe obiettare: ma che c’entra il Responsabile delle risorse umane? La risposta è semplice: è l’unica figura che può cercare e fornire al top management le risorse cognitive che possono permettergli di moltiplicare la sua capacità progettuale: le conoscenze e le metodologie di strategia d’impresa. Oggi esse non sono nella disponibilità del Top management.
La seconda cosa da fare è quella di aumentare le prestazioni dell’organizzazione. Anche in questo caso il Responsabile delle HR può aiutare a raggiungere questo obiettivo cercando le risorse cognitive necessarie: sono le conoscenze e le metodologie suggerite dalle scienze naturali ed umane che oggi sono completamente trascurate.


Ma sono due cose a cui il Responsabile HR non è né abituato né formato. Beh, ma in un periodo di passaggio da una società ad un’altra capita inevitabilmente a tutti. Non c’è per definizione nessuno imparato. Ma il compito di tutti è la ricerca continua di nuove conoscenze, nuovi ruoli ...

domenica 26 luglio 2015

Solo i Capi possono fare i formatori

di
Francesco Zanotti

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Io non sono contrario alle metodologie formative attive.
Forse potrei dire che sono troppe e in competizione. E non ci sono criteri per scegliere tra l’una e l’altra. Meglio ci sono criteri “soggettivi”: la vicinanza di metodi o contenuti alla sensibilità del Committente, l’amicizia, la moda del momento. A proposito di moda del momento, quale grande impresa non fa oggi almeno un corso sulla “intelligenza emotiva” o suoi neuroni a specchio?
Ma non voglio contestare il fatto che le metodologie attive siano ottime.
Sostengo però che tanto più sono ottime, tanto più devono essere usate dei Capi. E non da formatori. Né interni né tanti meno, esterni.
Le ragioni sono molto semplici. Le metodologie formative attive creano un ambiente antropologico nel quale emergono competenze, (anche “intense”), si formano reti relazionali, si costruiscono linguaggi, emergono ruoli. Ora quando le persone “escono” dal corso di formazione cosa accade? Cosa si portano a casa i Partecipanti? Cioè: cosa si portano nell’ambiente antropologico nel quale svolgono la loro attività? Quasi nulla. Forse addirittura negatività. Infatti, l’ambiente antropologico formativo si distrugge. Le competenze, le reti relazionali, i linguaggi e i ruoli scompaiono. I Partecipanti si portano dietro il ricordo di come “funzionavano bene” tutte questa “cose” e di come lo facevano stare bene. E si attende di poter rivivere tutto questo nel ambiente di lavoro. Ma non è possibile perché l’ambiente di lavoro è un ambiente antropologico completamente differente.
Allora si buttano a mare i metodi attivi? No, si deve fare in modo che vengano usati nello stesso ambiente antropologico nel quale si svolge l’esperienza di lavoro. Questo significa che solo il Capo può fare il formatore.
Perché questo accada i formatori la devono piantare di vendere giornate di formazione. Devono vendere solo metodi ed assistere al loro utilizzo.
Parliamo tanto di innovazione, ma il business model dei formatori non cambia: si vendono sempre giornate.
Cerco di venderti la cosa più strana per differenziarmi dagli altri. Ma alla fine è sempre giornate di aula che voglio venderti. Cari manager, vi sembra esagerato il mio giudizio? Allora fate una prova. Prendete il formatore più innovativo e proponetegli: guarda ti dò da fare cento giornate in un anno, ma non “insegnare” quello che vuoi tu, ma quello che ti dico io… E verificate che risposte vi daranno. Dovrebbero essere un secco: “no”! Ecco ... forse.



martedì 21 luglio 2015

Resilienza come imitazione e conservazione

di
Francesco Zanotti

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Il management è fatto di mode che nascono irragionevolmente, si diffondono altrettanto irragionevolmente. E, poi, finiscono per intasare gli spazi formativi, senza ovviamente, influire sulla capacità di generare cassa delle imprese.
La resilienza è una di queste: siamo arrivati al punto che essa è osannata da tutti e sembra una tragedia se nei programmi formativi non vi è almeno un corso sulla resilienza.
Ora, seguendo mode non si costruisce sviluppo, per definizione.
Non lo si costruisce a maggior ragione oggi, quando stiamo vivendo una crisi di significato. Infatti, una crisi di significato potrà essere risolta solo le imprese riusciranno a proporre una nuova generazione di prodotti e servizi perché quelli attuali hanno stufato sia l’uomo che la Natura. Ma se le imprese cercando di essere resilienti, cioè capaci di resistere alla cattiva sorte si va nella direzione opposta: il tentativo di preservare l’identità strategica attuale delle imprese. Conservazione, appunto
Mi si potrò obiettare cercando di allargare il concetto di resilienza. Ma, allora si opera una truffa semantica. Si costruisce una nuova parola valigia che contiene tutto e il contrario di tutto. In modo che tutti possano usarla come piace a loro. Perché truffa? Perché, quando si apre la valigia che è diventata quella parola, la si trova vuota di significati.

venerdì 17 luglio 2015

Cosa dovrebbero sapere i manager HR …

di
Francesco Zanotti

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Beh … dovrebbero saper tutto quello che è possibile sul sistema che “gestiscono”: l’uomo.
Ammetterete che è difficile gestire un sistema del quale non si conosce l’identità (come è fatto) e le modalità di relazionarsi.

Allora dovrebbe conoscere le neuroscienze e le scienze cognitive. Più spostate sull’hardware del cervello, le prime. Più spostate sulla parte Soft (non software) del cervello. Poi dovrebbero conoscere le diverse psicologie (dalla psicologia sistemica, alla psicoanalisi). Neuroscienze, scienze cognitive e psicologia per cercare di comprendere l’identità profonda dell’essere umano e non farsi più fregare da buontemponi della consulenza che propongono qualche ricettina qua e là.
La psico-sociologia per comprendere il ruolo del contesto relazionale nel formarsi dei comportamenti … Dopo tutto i comportamenti sono quelli che contano. Sono i comportamenti delle persone, di ogni singola persona, che generano la strategia e l’organizzazione di una impresa. La sociologia per comprendere il tessuto relazionale complessivo di una impresa.
L’antropologia per capire l’influenza della cultura.
E, poi, inevitabilmente, una disciplina che in Italia è completamente dimenticata: la strategia d’impresa. Mi direte, ma c’è quel tale professore … bene, prendete le sue pubblicazioni e confrontatele con lo stato dell’arte e livello internazionale della strategia d’impresa. Poi mi sapete dire di quel tale professore …  
Mi obietteranno: ma come facciamo a imparare tutte queste cose? La prima risposta di istinto (ma da censurare) che mi verrebbe è: ma scusa caro amico, se non sai nulla del sistema che devi gestire, come fai a provare a gestirlo ugualmente?
Una risposta più seria è: ma non è necessario diventare specialisti di queste materie. Esiste la possibilità di accedere a sintesi complessive che richiedono l’investimento di una giornata per ogni singola “disciplina”. Certo occorre accettare che tra le proprie attività torni ad avere la voce: “Studio”.

Mi si può obiettare ancora: noi gestiamo le persone con l’esperienza, senza teoria. Facciamo a meno della teoria. Sostengo che non è vero! Ogni esperienza è ispirata da una teoria. Il problema è che, spesso, ci si accontenta di teorie personali. Come se si pretendesse di riscrivere, senza sapere cosa hanno scoperto gli altri, neuroscienze e scienze cognitive, le diverse psicologie, psico-sociologia, sociologia antropologia e strategia d’impresa. Non credo che queste teorie personali riescano anche solo pallidamente ad essere paragonabili allo stato dell’arte di discipline a cui si sono dedicati tanti uomini brillanti, confrontandosi insieme, da sempre.

Conclusione: davvero non è eticamente accettabile non rimettersi a studiare.

domenica 12 luglio 2015

Lettera aperta ad un manager HR che teme …

di
Francesco Zanotti




 ... di essere dimissionato.
Caro manager, la prima domanda che ti dovresti fare è: perché non dovrebbero dimissionarmi? Non mi rispondere: perché sono bravo! Ci sono almeno mille altri bravi come te e me.
Dovresti poter rispondere: perché ho portato innovazioni rilevanti a livello internazionale, capaci di aumentare in modo rilevante le prestazioni di operatività e di innovazione della organizzazione in cui vivi. Ma questo non lo puoi dire. Hai cercato di fare solo cose riconosciute, consolidate, magari scegliendo in un patrimonio di relazioni amicali. Potresti dire: perché io personalmente dispongo di un patrimonio di conoscenze assolutamente esclusivo. Ma anche questo non lo puoi dire perché hai sempre snobbato la conoscenza.
E allora? Allora puoi pensare che non è mai troppo tardi: porta nella tua impresa conoscenze veramente internazionalmente esclusive, proponi progetti realmente innovativi che generino in tempi brevi risultati inimmaginabili. Vedrai che diventerai insostituibile.


venerdì 10 luglio 2015

Panorami della scienza per l’estate

di
Francesco Zanotti

L’estate è tempo di panorami nuovi. Li si cercano, li si ammirano. E devono essere diversi dai panorami di tutti i giorni. Nuovi panorami da portare nella mente e nel cuore.
Bene, non vi sono solo i panorami naturali e sociali, ma vi sono anche i panorami della conoscenza. Se ci sono venuti in uggia i panorami naturali, artificiali e sociali che percorriamo tutti i giorni, dovremmo avere anche in uggia panorami della conoscenza sempre uguali. Se non li rinnoviamo, rischiano anche di rovinarci anche la capacità di ammirare davvero i panorami che le vacanze ci permettono di visitare.
Allora in questa estate proponiamo ai nostri lettori un viaggio in panorami della conoscenza che non sono ancora stati esplorati. Non affollate spiagge di banalità cognitive, ma foreste vergini di vitalità nuove ed esplosive.
La meta del viaggio: i panorami della conoscenza scientifica per capire cosa essa ci può dare per una nuova comprensione e capacità di gestione di persone ed organizzazioni.

Prima tappa: le scienze “dure” (matematica e fisica) per capire cosa significa interagire con persone ed organizzazioni.

Seconda tappa: la teoria dell’evoluzione per capire come evolvono persone ed organizzazioni.

Terza tappa: neuroscienze e scienze cognitive per capire il “guazzabuglio” del cuore umano.

Fondandoci su queste conoscenze ci renderemo conto davvero che:

Formazione, “cantieri” di cambiamento e attività di gestione delle risorse umane
sono “specializzazioni” che rompono l’organizzazione in frammenti autoreferenziali che ne compromettono efficacia, efficienza e sviluppo …

Poi, a settembre proporremo un incontro dal vivo con tutti coloro che avranno compiuto questi viaggi per condividere le esperienze fatte e progettare una nuova modalità di gestione di persone ed organizzazioni.

E sarà uno scambio di esperienze molto intenso perché, viaggiando nei panorami della conoscenza si può fare una cosa che non è possibile fare con i panorami naturali e sociali. Degli altri paesaggi si possono portare a casa solo immagini. Della conoscenza se ne può portare il paesaggio completo, non solo sue immagini.



mercoledì 1 luglio 2015

Non parlate il linguaggio delle HR

di
Francesco Zanotti


Voi non vi fate capire: non parlate il linguaggio delle HR. E’ l’ “accusa” che ci viene rivolta.
Ecco, le virgolette stanno ad indicare che la considero un complimento.
Infatti, ogni nuovo paradigma inevitabilmente viene espresso in un nuovo linguaggio. Se il nostro linguaggio suona nuovo, allora questo è il primo e fondamentale indizio che stiamo dicendo cose realmente nuove. Io sostengo: un nuovo paradigma di management.
Mi direte: ma allora dobbiamo considerare nuova una cosa solo perché non la capiamo?
Certo che no! Serve un’altra condizione di cui parlerò dopo.
Ora voglio insistere per essere chiaro: non aspettatevi cose nuove dette con un linguaggio che capite. Sono solo dichiarate nuove. Se non sentite nessun linguaggio nuovo, siate certi che state ripetendo il presente.
Se il presente va bene così come è, allora cari HR manager, non dovete fare nessuna fatica. State a sentire solo i linguaggi che capite perché non avete alcun bisogno di innovazione.
Se, invece, come mi sembra tutti pensate necessario un nuovo ruolo per manager HR, allora dovere cercare persone che dicono cose in linguaggi inusuali.

Come detto, ovviamente, il linguaggio nuovo è solo una condizione necessaria e non sufficiente.

Occorre, allora, verificare la qualità delle cose che vengono dette in un linguaggio nuovo.
Vi propongo questo strumento di verifica: mettetele al vaglio di tutte le conoscenze che definisco “rilevanti”. Cioè quelle che contribuiscono a comprendere l’uomo e le relazioni tra gli uomini in un certo contesto. Se verificate che le cose nuove sono l’applicazione delle conoscenze rilevanti più avanzate, allora consideratele veramente nuove. Altrimenti, no!

Vi consiglio di fare questa verifica anche con le cose (idee, metodi etc.) che usate o con quelle che vi sembrano nuove, ma comprensibili. Scoprirete che, alla luce delle conoscenze rilevanti, sono banalmente … sbagliate. Sono anti-scientifiche.

Ma è difficile: richiede che si disponga di tutte le conoscenze rilevanti. Beh pensate che gestire sistemi umani sia più semplice che gestire sistemi tecnologici? Sarà più difficile, invece.

Conclusione: se davvero qualcuno volesse immaginare un nuovo ruolo per i manager HR dovrebbe partire dal dotarsi di nuove conoscenze che, proprio perché sta interpretando il suo ruolo in un certo modo, non sono nella sua disponibilità. Più ampio è il set di conoscenze rilevanti che utilizza, più intenso e fecondo sarà il cambiamento che riuscirà a vedere. Insomma, il cambiamento è prima di tutto personale ed è di tipo cognitivo.

Aggiungo sommessamente: se fossi un manager HR, anche se non mi ponessi il tema del cambiamento mi sentirei molto a disagio a usare nel mio lavoro, a proporre alla mia impresa idee e metodi che sono dimostrabilmente anti-scientifici.